22 Novembre 2024
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Memoria di un casolano che fu Schiavo di Hitler

“Fui catturato dai tedeschi in Yugoslavia e trasportato in Germania dopo 4 giorni di viaggio in un vagone merci senza mangiare. Internato nel lager di Meppen lavorai in una fonderia di ghisa in condizioni disumane”. In questa pagina, riproponiamo il racconto di Domenico Cipolla, ex Internato Militare Italiano.

Oggi 27 gennaio 2023, in occasione della Giornata della Memoria, riproponiamo l’articolo pubblicato sulla vecchia piattaforma di casoli.org, visibile al seguente indirizzo: Memoria di un casolano che fu Schiavo di Hitler. Tutti gli altri articoli dedicati alla Giornata della Memoria da noi pubblicati dal 2004 fino al 2021, partendo dal primo e lungo articolo dal titolo “Campo per ebrei a Casoli” del 27 gennaio 2004, sono elencati in questa pagina dell’archivio storico del sito: SHOAH. Mentre nella sezione “Libri“, va evidenziato il saggio storico “Riportiamoli a casa” che Vincenzo Rossetti ha voluto dedicare ai 20 militari casolani, che dopo l’8 settembre del 1943 persero la vita, combattendo contro i nazisti o perchè finiti nei lager in Germania.

Di seguito, il testo e le immagini dell’articolo del 24 aprile 2016:

Il casolano Cipolla Domenico, scomparso nel 2012, fu uno degli Internati Militari Italiani (IMI) catturati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’Armistizio dell’8 Settembre 1943. Dopo la cattura, i soldati e gli ufficiali italiani vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l’arruolamento. Quelli che rifiutarono di collaborare con l’esercito tedesco, furono considerati “prigionieri di guerra”. Il soldato Cipolla, dopo la cattura riuscì a resistere e a sopravvivere ad un inferno lungo due anni, dal 9 Settembre del 1943 al 12 Settembre del 1945.

Sono stato catturato in Yugoslavia il 9 Settembre del 1943 dalle truppe tedesche Wehrmacht– scrive Cipolla Domenico in una dichiarazione rilasciata all’OIM nel 2001- Dopo 4 giorni di viaggio nei vagoni merce senza mangiare, mi hanno portato in Germania e internato presso il lager n. 6 di Meppen (Westfalen), dove venivo continuamente sorvegliato dall’esercito e mi trovavo in una situazione di prigionia disumana con condizione igienico-sanitaria ed alimentazione gravemente insufficienti. Fui in seguito costretto al lavoro coatto schiavistico con la mansione di operaio (facevo le forme per il getto lquido della ghisa) presso la fonderia Flander a Bocholt, dove il lavoro era svolto in condizioni molto dure, tanto da registrare in poco tempo un dimagrimento di 15 chili.”

Finito di lavorare in fabbrica nel mese di Marzo del 1945, il soldato Cipolla Domenico fu liberato il 5 Aprile del 1945 ad Osnabrück, tornando però in patria solo dopo cinque mesi, in quanto gli alleati durante l’organizzazione del rimpatrio (un problema che in quel periodo l’Italia stava affrontando con il governo Parri) lo trattennero in Germania per motivi logistici fino al 12 Settembre del 1945, tant’è che a Casoli, fino ad allora, l’avevano ormai dato per disperso.

Il campo di Meppen non era un campo di internamento noto come quelli di AuschwitzDachau e Buchenwald, più volte descritti nei libri, nei documentari e nei film (quindi conosciuti), ma era uno dei “sottocampi” ignorati dalle organizzazioni di soccorso e, quindi, anche per questo, vi avvenivano orrori di ogni genere. “Mentre nei campi principali c’erano alcuni servizi e tutele, – si legge in questa pagina web dedicata alla testimoninaza di due internati italiani – in quelli minori come Meppen si era completamente abbandonati a se stessi. Si dormiva sulla paglia; non c’erano coperte; le scarpe, nonostante il freddo intenso, erano zoccoli olandesi; non vi era biancheria intima. Cimici, pidocchi, dissenteria, tubercolosi, cancrena, erano diffusissimi. Poco e scadente il cibo; era abitudine dei prigionieri appropriarsi di nascosto, rischiando la vita, delle bucce di patate gettate nella spazzatura dai tedeschi per cercare di ricavarne ancora del nutrimento.”

L’archivio delle memorie e delle schede pubblicate sul portale “Schiavi di Hitler” è nato per approfondire uno degli aspetti dimenticati della storia italiana, una storia che riguarda decine di migliaia di nostri connazionali sfruttati nelle fabbriche del Reichcosì come narrato dal concittadino Domenico Cipolla. Alcuni non sono più tornati a casa, altri invece hanno avuto la fortuna di poter raccontare questo triste capitolo della loro vita e della nostra storia. Tanti abruzzesi e altri casolani prigionieri di guerra utilizzati come manodopera schiavizzatasono presenti nell’archivio del sito, per ritrovarli bisogna, però, conoscerne il cognome, in quanto per il rispetto della Privacy, in corrispondenza di ogni nome è presente solo l’iniziale del cognome. Chi vuole rintracciare notizie di un parente, di un amico o di un conoscente che è stato costretto a lavorare come schiavo di Hitler nelle fabbriche naziste, può effettuare la ricerca direttamente accedendo a questa pagina: http://www.schiavidihitler.it/Pagine_ricerca/schede.asp

La scheda di Cipolla Domenico sul sito www.schiavidihitler.it. Clicca sull’immagine per accedere alla pagina originale

Oltre seicentomila si valuta siano stati gli italiani deportati e internati nei lager tedeschi per essere utilizzati come manodopera schiavizzata nella produzione di guerra tedesca.” Si legge sul sito www.schiavidihitler.org il portale del centro studi “Schiavi di Hitler” nato per raccogliere dati, immagini e testimonianze dei deportati ed internati nei lager nazisti e costretti a lavoro forzato nelle fabbriche come degli schiavi.

Deportati per andare a occupare, alla catena di montaggio, il posto delle generazioni ariane mandate a massacrare/arsi sui vari fronti, – spiega ancora il centro studi “Schiavi di Hitler –  vissero un vero e proprio inferno in terra, inghiottiti da una spirale in cui precipitarono la Germania nazista e i suoi milioni di schiavi, un inferno fatto di fame, distruzioni, desolazione, bombardamenti, disciplina, morte. Per questi uomini e queste donne, per questi civili e militari si aprirono solo prospettive di sopravvivenza, di resistenza. E’ un’immagine dal di dentro di questo inferno quella che ci restituisce la memoria dei civili rastrellati sugli Appennini per sgomberare il fronte, nelle zone della prima Resistenza in Piemonte, per essersi imbattuti nei repubblichini mentre scendevano dal treno in un mattino d’estate, per aver scioperato insieme ad altre migliaia di operai, per non essersi presentati alla leva, per ritorsione verso un parente, oppure semplicemente ricattati per un motivo qualsiasi e poi ingannati.
I ricordi degli internati militari italiani “traditi, disprezzati, dimenticati” come li definisce lo storico tedesco Gerhard Schreiber, ci restituiscono la visione corale del
 disorientamento in cui piombò l’esercito italiano dopo l’otto settembre, il sentimento quasi di vergogna, lo spaesamento, scoramento in cui caddero questi giovani nati con il fascismo, cresciuti nella sua scuola, mandati a combattere sui vari fronti e infine abbandonati a se stessi.”

Si valuta in oltre quarantamila il numero di militari italiani deceduti nei territori occupati dal Reich durante l’ultima guerra. – si legge ancora nelle pagine del portale “Schiavi di Hitler” – Imprecisato quello dei civili deportati: la pesantezza del loro internamento e sfruttamento determinò un’altissima mortalitàIl ritorno penoso, rocambolesco o assistito, non offrì occasioni di riscattochi tornò lacero e sconvolto trovò una forte concorrenza sul mercato del lavorol’indifferenza di un paese che si stava riorganizzando, che voleva dimenticare al più presto la guerra, già immerso nella ricostruzione e in un nuovo quadro internazionale. Lentamente i reduci si reintegrarono, contribuendo per la loro parte, da operai, contadini, manovali, artigiani, nel silenzio della memoria, alla ricostruzione del paese.

Di seguito la copertina del mensile “Rassegna della ANRP” (n. 1-2 dell’anno 2007) dove si parla della L. n. 296/2006 che prevede la concessione di una medaglia d’onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra nell’ultimo conflitto mondiale La HomePage della ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia): www.anrp.it

In quesata seconda immagine, la copertina di “Rassegna della ANRP” mensile socio-culturale n. 7-8 del 2007 con la lettera ai soci reduci dai lager nazisti e loro familiari per il conferimento della medaglia d’onore  agli internati  nei lager nazisti e sfruttati nelle fabbriche del Reich

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