L’altra resistenza: il 25 aprile degli IMI
E’ la storia dell’altra resistenza, comune a numerosi italiani catturati che rifiutarono di collaborare con l’esercito tedesco e di conseguenza internati e sottoposti al duro lavoro coatto. Oggi vogliamo ricordare Cipolla Domenico di Casoli e Cosenza Pantaleone di Roccascalegna, due coetanei abruzzesi accomunati da uno stesso triste destino: l’internamento in Germania.
Il Centro Studi “SCHIAVI DI HITLER” di Cernobbio (CO) (schiavidihitler.it o schiavidihitler.org) è un ricco archivio delle memorie e delle schede degli IMI, nato per approfondire uno degli aspetti dimenticati della storia italiana, una storia che riguarda decine di migliaia di nostri connazionali sfruttati nelle fabbriche del Reich. Alcuni non sono più tornati a casa, altri invece hanno avuto la fortuna di poter raccontare questo triste capitolo della loro vita. Tanti abruzzesi e altri casolani prigionieri di guerra utilizzati come manodopera schiavizzata, sono presenti nell’archivio del sito, per ritrovarli bisogna, però, conoscerne il cognome, in quanto per il rispetto della Privacy, in corrispondenza di ogni nome è presente solo l’iniziale del cognome. Chi vuole rintracciare notizie di un parente, di un amico o di un conoscente che è stato costretto a lavorare come schiavo di Hitler nelle fabbriche naziste, può effettuare la ricerca direttamente accedendo a questa pagina: w w w . s c h i a v i d i h i t l e r . i t
A Casoli, il 2 Aprile del 2016 ci fu la presentazione del saggio storico “Riportiamoli a casa“, un libretto di 32 pagine curato da Vincenzo Rossetti in cui si parla degli IMI e che fu presentato presso la sede dell’Assoc. Culturale “Casulae Club”
L’Autore racconta la vicenda, riguardante un milione di militari del Regio esercito italiano, ignorata quasi del tutto dalla storiografia repubblicana. Fra di essi vi erano duecento soldati di Casoli che, dopo l’Armistizio dell’8 settembre ’43, contribuirono, in forme e in contesti diversi, ad aprire la strada alla Nuova Italia democratica e repubblicana. Quasi venti nostri concittadini con le stellette morirono in questa sconosciuta “Lotta di liberazione” contro i nazisti. Il saggio restituisce alla memoria paesana le loro tragiche, ed eroiche, storie. Il volumetto traccia anche un parallelo ideologico fra i volontari di Casoli che si arruolarono nel Corpo italiano di liberazione e i nostri partigiani della Brigata Maiella.
Sempre nello stesso anno, il 25 aprile del 2016, approfondendo e mettendo a fuoco la storia di uno degli IMI di Casoli, abbiamo parlato in questo articolo (Memoria di un casolano che fu Schiavo di Hitler – Le News di casoli.org) di Cipolla Domenico, la cui scheda era presente dal 2014 nell’archivio del sito del Centro di Ricerca sugli IMI di Cernobbio sopra citato, raccogliendo la testimonianza scritta rilasciata all’OIM nel 2001. L’articolo è stato poi trasferito anche nella nuova piattaforma del nostro sito in questa pagina: Memoria di un casolano che fu Schiavo di Hitler.
Il continuo e crescente interesse da parte delgi studiosi su questa vicenda, ha fatto sì che molte storie sono emerse su altri testi che raccolgono testimonianze di sopravvissuti all’internamento e al duro lavoro coatto, imposto dai nazisti ai militari italiani che si rifiutarono di collaborare con loro. Ma oggi, volgiamo soffermarci su due figure locali: Cipolla Domenico di Casoli e Cosenza Pantaleone di Roccascalegna, entrambi nati nel mese di Gennaio del 1920 ed entrambi internati in Germania dopo l’8 Settembre del 1943. Quando i due, nel dopoguerra, si rivedevano, soprattutto qui a Casoli, rievocavano le loro dolorose esperienze che avevano segnato le loro vite. Mentre Cosenza ne parlava con pochi, forse solo con chi riusciva a credergli, Cipolla al contrario, ne parlva spesso e con chiunque come monito contro gli orrori della guerra.
Il soldato CIPOLLA DOMENICO di Casoli, fu uno degli Internati Militari Italiani (IMI) catturati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’Armistizio dell’8 Settembre 1943. Dopo la cattura, i soldati e gli ufficiali italiani vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo il 10 per cento accettò l’arruolamento. Quelli che rifiutarono di collaborare con l’esercito tedesco, furono considerati “prigionieri di guerra”. Il soldato Cipolla, dopo la cattura riuscì a resistere e a sopravvivere ad un inferno lungo due anni, dal 9 Settembre del 1943 al 12 Settembre del 1945.
“Sono stato catturato in Yugoslavia il 9 Settembre del 1943 dalle truppe tedesche Wehrmacht. – scrive Cipolla Domenico in una dichiarazione rilasciata all’OIM nel 2001- Dopo 4 giorni di viaggio nei vagoni merce senza mangiare, mi hanno portato in Germania e internato presso il lager n. 6 di Meppen (Westfalen), dove venivo continuamente sorvegliato dall’esercito e mi trovavo in una situazione di prigionia disumana con condizione igienico-sanitaria ed alimentazione gravemente insufficienti. Fui in seguito costretto al lavoro coatto schiavistico con la mansione di operaio (facevo le forme per il getto lquido della ghisa) presso la fonderia Flander a Bocholt, dove il lavoro era svolto in condizioni molto dure, tanto da registrare in poco tempo un dimagrimento di 15 chili.”
Finito di lavorare in fabbrica nel mese di Marzo del 1945, il soldato Cipolla Domenico fu liberato il 5 Aprile del 1945 ad Osnabrück, tornando però in patria solo dopo cinque mesi, in quanto gli alleati durante l’organizzazione del rimpatrio (un problema che in quel periodo l’Italia stava affrontando con il governo Parri) lo trattennero in Germania per motivi logistici fino al 12 Settembre del 1945, tant’è che a Casoli, fino ad allora, l’avevano ormai dato per disperso.
Il sergente maggiore COSENZA PANTALEONE, di Roccascalegna, è presente nel volume “FIORI DAL LAGER. Antologia di Internati Militari Italiani” di Silvia Pascale (anno 2019). “Un libro che si occupa di una delle pagine meno note della storia italiana – si legge nel volume- e raramente presente anche nei manuali scolastici: i lunghi mesi di prigionia vissuti da circa 650.000 militari italiani che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, vennero deportati nei Lager del Terzo Reich. Dalle sofferenze dei campi di concentramento e dalla miseria del lavoro forzato avrebbero potuto liberarsi optando per la Germania e la Repubblica Sociale Italiana, ma decisero di non farlo contribuendo alla Resistenza. Il volume è una raccolta di lettere, di racconti, di diari e di interviste, per dare voce a cinquanta Internati Militari Italiani. Le loro storie vivono ancora grazie agli scritti, alle memorie dei familiari, ai documenti e alle immagini inedite che costellano queste pagine.”
“Ma chi erano questi giovani uomini capaci di una scelta così drammatica? Erano ragazzi poco più che ventenni, – si legge ancora nel libro – giovani padri di famiglia che hanno sacrificato un periodo della loro vita e che una volta rientrati hanno raccontato poco, ma la loro esperienza è rimasta impressa nell’animo ed è stata raccolta dalle proprie famiglie. In quest’opera hanno trovato voce anche alcuni di quelli che non sono tornati. Le loro storie sono state recuperate dai figli, dai nipoti o dai pronipoti, che hanno cercato per anni i documenti o anche solo una tomba, spesso senza neppure trovarla.”
Ecco di seguito la pagina dedicata a Pantaleone Cosenza, con le informazioni raccolte dalla figlia Prof.ssa Clelia Cosenza per l’autrice del libro e in cui si legge che il 27 gennaio del 2009, il padre ricevette anche al medaglia d’oro dal Prefetto di Chieti. Cliccando sull’immagine sottostante, si accede all’e-Book per leggere il capitolo integrale.