Gioia Fiorentino: “82 anni di vita con l’arte come pulsione” – Capitolo 1
L’idea di offrire in capitoli un riassunto dell’attività artistica di Gioia Fiorentino costituisce una sfida immensa. È possibile spiegare l’arte? Andando oltre, è possibile spiegare l’artista? Lei avrebbe detto di no.
Articolo di Emilano Damonte
Gioia amava profondamente Casoli e l’Abruzzo, ma come tutto ciò che amava, aveva una relazione complessa e contraddittoria. Facendo enfasi su queste due parole e che potrebbe essere il titolo di questo scritto: “Complessa e Contraddittoria”. Penserò bene prima di consegnare il primo capitolo, perché mia madre era milioni (o più) di cose tutte insieme e contemporaneamente, ma poche cose furono più inequivocabili di “complessa e contraddittoria”. Essere suo figlio non è mai stato semplice, tranne durante le ultime tre settimane che ho trascorso al suo fianco all’ospedale di Casoli, dove ho incontrato la sua versione più saggia, dolce e amorevole. I suoi occhi ormai grigi, resi quasi completamente ciechi dall’oscurità che l’aveva imprigionata in se stessa, mostravano un’espressione infantile. Era indifesa di fronte al mondo, fragile e rassegnata. Non poteva né leggere né disegnare, una condanna crudele che l’ha lasciata in balia di se stessa. Una condanna che l’ha lasciata ai suoi mostri interni senza il suo principale canale di sublimazione: l’Arte. Ma è stato proprio il lasciarsi andare all’inevitabile che le ha dato la tranquillità, che ci ha permesso di godere ogni minuto trascorso insieme in quelle ultime settimane. Stava morendo e lo sapeva, anche se non abbiamo mai parlato della morte. Lei lo sapeva, io sapevo che lei sapeva e lei sapeva che io sapevo. Nient’altro da aggiungere. Era solo preoccupata per la sua opera. “Stai tranquilla, ho tutto io”, le dissi due o tre volte. Non è stato necessario tornare sull’argomento.
Casoli ha accolto di nuovo questa figlia romana più di 32 anni fa, credo fosse il 1° maggio del ’91. Le ha dato un luogo dove rifugiarsi, l’ha protetta, l’ha abbandonata, ha provato orgoglio e vergogna, a volte ignorata e perfino aggredita, ma Gioia non ha mai smesso di amarlo, ed è rimasta lì fino alla fine. Credo che poche persone nel paese sapessero veramente chi fosse questa donna minuta e furiosa, che stupiva coloro che avevano la rara pazienza necessaria per penetrare le sue muraglie assurde.
Paura, follia e morte.
Un giorno del 1944, Natale Fiorentino, stanco di salire e scendere scale, radunò la sua famiglia nella sala da pranzo dell’appartamento al nono piano che affittava ai Parioli, a Roma, e disse loro che non sarebbero più scesi nel seminterrato dopo gli allarmi di bombardamento. “Se cade una bomba, saremo nel seminterrato e ci cadranno dieci piani sulla testa, se rimaniamo qui cadremo insieme al crollo. Non si scende più.” La piccola Gioia, a quei tempi una bambina di circa 3 o 4 anni, ebbe con sé, il ricordo di quel momento per tutta la sua vita. Fu il momento in cui diede alla luce uno dei suoi compagni di viaggio più fedeli che l’ accompagnò per tutta la vita, la paura.
La paura è sempre stata presente, è presente in tutto il suo lavoro creativo. Rodolfo Odorisio ha parlato con me qualche giorno fa di alcune figure che appaiono velate lungo tutta la sua opera, in tutte le sue tecniche. Ovviamente ci sono molteplici interpretazioni possibili, ma credo che in modo abbastanza preciso possiamo dire che quelle figure, a volte velate a volte intense, rappresentino i tre demoni che l’hanno tormentata per tutta la sua esistenza: paura, morte e follia.
Sono figlia della guerra… diceva spesso